La 36ª Brigata Garibaldi “Bianconcini” sull’Appennino Tosco-Romagnolo
I luoghi storici della Linea Gotica e le battaglie partigiane tra natura e memoria
L’Appennino tosco-romagnolo è molto più di un paesaggio montano: è un teatro di storia, un territorio segnato dalla durezza della guerra e dalla forza della Resistenza. Tra le creste selvagge e le valli fitte di boschi, si sviluppa la storia della 36ª Brigata Garibaldi “Bianconcini”, una delle più attive formazioni partigiane della Seconda guerra mondiale. Ripercorrere quei sentieri oggi significa unire escursionismo, memoria storica e passione per la libertà.
La nascita della 36ª Brigata sulla Linea Gotica
Siamo nella primavera del 1944. Dopo lo sfondamento della Linea Gustav e la liberazione di Roma, gli Alleati premono verso l’Emilia-Romagna. Qui i tedeschi stanno costruendo la Linea Gotica (o Linea Verde), un complesso sistema difensivo che sfrutta a proprio vantaggio la geografia aspra dell’Appennino.
Non si tratta di una linea continua di bunker, ma di postazioni ben mimetizzate: ogni crepaccio diventa una trincea, ogni grotta un nido di mitragliatrice. In questo scenario si organizza la Resistenza. Sulle pendici del monte Faggiola, un gruppo di partigiani imolesi e faentini fonda la 36ª Brigata Garibaldi, in memoria dell’antifascista Alessandro Bianconcini, fucilato nel 1944.
Il primo comandante, Libero Lossanti (“Lorenzini”), cade presto in uno scontro. Al comando subentra Luigi Tinti, detto “Bob”, che guida la brigata fino alla fine del conflitto. In pochi mesi, il gruppo si struttura e cresce fino a contare 1500 unità.
Piccole azioni, grande impatto: la Resistenza civile
La lotta partigiana non si limita alle battaglie: è fatta anche di sabotaggi, staffette e piccoli gesti di resistenza civile. Giovani, donne e contadini aiutano i combattenti tagliando linee telefoniche, consegnando messaggi o disseminando le strade di chiodi per ostacolare i veicoli tedeschi. Ogni gesto diventa un atto di libertà.
Battaglie sull’Appennino: Cà di Guzzo e Monte Battaglia
Tra il 27 e il 28 settembre 1944, una compagnia della Brigata si accampa a Cà di Guzzo, vicino a Castel del Rio. Nella notte, incrocia una colonna di Waffen SS. I partigiani reagiscono, ma sono accerchiati. Dopo ore di resistenza, solo pochi riescono a fuggire; i feriti e i civili vengono brutalmente uccisi.
Quasi contemporaneamente, il 3° Battaglione della brigata partecipa all’assalto di Monte Battaglia, insieme all’88ª Divisione americana. Il 27 settembre il monte è in mani partigiane, ma per quattro giorni i tedeschi lanciano furiosi contrattacchi. La vetta resiste grazie alla tenacia dei combattenti e alla solidarietà tra partigiani e truppe alleate.

L’ultima sfida: Cà di Malanca e la lotta per la sopravvivenza
Con l’arrivo dell’autunno e il fronte in stallo, la 36ª Brigata tenta di sfondare le linee nemiche per raggiungere gli Alleati. Si concentra attorno a Brisighella e lancia l’assalto a Cà di Malanca, nella zona di Purocielo. Per tre giorni, tra bombe e fuoco incrociato, i partigiani resistono fino ad aprirsi un varco verso la salvezza.
L’inverno è alle porte e gli Alleati sospendono l’offensiva. I partigiani vengono smobilitati e assistiti. Solo il 1° Battaglione “Sirio” resta operativo, partecipando alla liberazione di Imola nell’aprile 1945, accanto alle forze polacche.
Trekking tra memoria e natura: camminare sui luoghi della Resistenza
Oggi è possibile percorrere i luoghi simbolo della 36ª Brigata attraverso itinerari escursionistici immersi nella natura dell’Appennino. Da Cà di Malanca a Monte Battaglia, ogni passo rievoca una storia di coraggio, sacrificio e libertà.
Questi sentieri rappresentano un patrimonio culturale e ambientale unico, ideale per chi ama unire la passione per il trekking con l’approfondimento storico. Camminare in questi luoghi significa tenere viva la memoria e scoprire, passo dopo passo, le radici della nostra democrazia.